A cura di Marta Giuliani
Sono le 9…e molti psicologi si stanno spostando verso il centro di Roma. Alcuni sui mezzi, altri a piedi assaporando le bellezze della città eterna, altri ancora canticchiando in macchina in coda sul raccordo. Non si stanno recando nei loro studi o nel loro abituale posto di lavoro…ma in piazza!
È il primo giorno della seconda edizione del Festival della Psicologia e, passando per Villa Borghese, vedo aprirsi davanti a me la bellezza di Piazza del Popolo. In lontananza, davanti al porticato di Santa Maria in Montesanto, riconosco le vele pubblicitarie dell’Ordine degli Psicologi del Lazio…che bella sensazione! Il passo si fa più spedito mentre faccio lo slalom tra i turisti e i lavoratori che, trafelati, guardano con preoccupazione l’orologio contando i minuti di ritardo.
Sono arrivata! Incontro subito i colleghi che si occupano di Psicologia dell’Alimentazione e, sarà per l’argomento, mi accorgo immediatamente di non aver fatto ancora colazione. La pancia brontola, ma non ho neanche il tempo di decidere se prendere un tramezzino o un cornetto che il gazebo si popola.
Alcune persone hanno sentito parlare del Festival in radio o ne hanno letto l’annuncio sui quotidiani nazionali, altri, invece, si trovano lì per caso e dopo qualche giretto di perlustrazione si avvicinano incuriositi all’idea di vedere degli psicologi al centro di Roma.
Che ci fate qui?
Il tono è colloquiale, quasi divertito!
Siamo qui per abbattere quel muro di diffidenza che ancora aleggia sulla nostra professione. Siamo qui per farci conoscere e per far conoscere il nostro lavoro. Siamo qui per presentare le innumerevoli aree di intervento in cui quotidianamente operiamo. Siamo qui per favorire spunti di riflessione e per promuovere il cambiamento. Siamo qui…sostanzialmente … perché di solito Stiamo Dentro i nostri studi ma ogni tanto Stiamo Fuori, in qualunque modo lo vogliate interpretare!
Si avvicinano due ragazze che, dopo aver preso informazioni sull’iniziativa, decidono di cimentarsi nelle attività proposte dai colleghi. Hanno davanti a loro una lavagna magnetica e diversi cartoncini riportanti delle affermazioni che devono provare a classificare come Fame Biologica o Fame Emotiva.
Arriva il primo cartoncino: “E’ una fame che può essere soddisfatta da molte tipologie di alimenti” … la mia pancia ricomincia a brontolare, mi ero quasi dimenticata di lei. E mentre la ragazza pensa a cosa rispondere, ascoltando il mio bisogno, mi ritrovo a dire “La mia è decisamente biologica! Non farei troppi complimenti adesso”. Per fortuna non mi hanno sentito!
Ma che differenza c’è tra Fame biologica e Fame emotiva?
La fame biologica arriva gradualmente, è gestibile ed è un bisogno concreto del corpo, mentre la fame emotiva giunge all’improvviso (dal collo in su) e richiede di essere soddisfatta velocemente. Non è una reale urgenza del nostro corpo, ma un bisogno che ha il sapore di sensazioni spiacevoli, come l’ansia, la tristezza, la rabbia, l’impazienza o la solitudine.
Nella fame biologica ogni alimento è ben accetto: il nostro corpo chiede nutrimento senza fare particolari pressioni sulla forma, il colore e il sapore. La fame emotiva, invece, richiede di essere “coccolata” e ognuno di noi ha il suo Comfort Food preferito…e su questo ammetto di non essere molto originale, il mio debole per i dolci è piuttosto famoso.
Torno nuovamente a concentrarmi sulle due ragazze che, divertite dalle riflessioni emerse e presa confidenza con gli aspetti psicologici dell’alimentazione, iniziano a fare domande sulle ragioni del famoso effetto yo-yo.
A chi non è mai capitato di seguire alla lettera un regime alimentare controllato e, dopo un piccolo stravizio, è ripiombato velocemente nelle vecchie e sbagliate abitudini?
Questo perché viviamo questi momenti come veri e propri fallimenti, come riprove della nostra incapacità di controllo e “quale migliore occasione per consolarci di un bel panino con la cioccolata?”, aggiunge scherzando una delle due ragazze.
Ed è qui che il collega, con voce accogliente e divertita, inserisce nel discorso il Diario Alimentare, uno strumento fondamentale che aiuta la persona ad aumentare la consapevolezza di cosa mangia, quando lo mangia, come si sente e cosa pensa in quel momento.
Perché usare il Diario Alimentare?
Per diventare osservatori attivi di se stessi, riducendo in modo graduale (e con il supporto professionale), le assunzioni di cibo legate agli aspetti emotivi. E le ricadute? I piccoli sgarri che di tanto in tanto si affacciano con forza nel nostro percorso? Questi rappresentano le aree di maggior interesse nel nostro percorso, perché raccontano tanto di noi, del nostro sentire e delle nostre difficoltà.
Il “fallimento” fa parte del cambiamento!
Una frase che racchiude in sé l’essenza stessa del processo che ognuno di noi fa quando vuole raggiungere un obiettivo. Infatti è proprio attraverso le informazioni che possono fornirci le nostre ricadute che rafforzeremo in modo duraturo il nostro successo.
È arrivato il momento di lasciare andare le nostre due ragazze, che hanno significativamente accompagnato questo mio racconto allo stesso modo in cui decine di uomini e donne hanno allietato i nostri due giorni in piazza. La consapevolezza di aver centrato lo spirito dell’iniziativa la lascio a Sonia che, andando via dal gazebo, ci dice: “Mi è venuta voglia di un bel gelato…l’appetito vien pensando!”